Scritti di Mario Raciti

Aforismi 2008-2009

Una parte della musica è curva. Già l’architetto Bach indulge alle curvature. Il massimo del curvilineo è nella musica romantica e postromantica. Hanno tentato di raddrizzarla alcuni, Stravinskij o Schönberg per esempio, ottenendo tuttavia brevi segmenti.
Sarà per questo che a me, melomane, capita di fare tutta una pittura curvilinea. Il corpo, l’inconscio, lo spazio sono fatti di curve.

In un vecchio disegno figuravo orizzonti sovrapposti che, allontanandosi, diventavano sempre più curvi fino a diventare un cerchio, un pianeta, poi un punto, poi scomparire. Spazio puro, attributo dell’infinito romantico; attributo della dispersione, del “nihil”?

La pittura analitica, volendo rappresentare solo se stessa, rappresenta per conseguenza superfici nulle. È stato un bel colpo intellettuale ma dopo 40 anni si vorrebbe vederne qualche evoluzione, e qualcuno degli ex adepti per fortuna comincia a muoversi.
Tautologia: serpente che si morde la coda, in eterno.

L’arte, nel sublime o nel tremendo, consacra. Merita particolare valutazione riuscire a consacrare oggi, in mezzo alle ovvietà e alle bestemmie.

Non si può affrontare a fondo il problema dell’arte se non entrando nel mito. Il mito sottende sempre il problema sotterraneo: il che vuol dire passare dal mondo materiale alla profondità della psiche. L’Ade è popolato da ombre: non possiamo attenerci al concreto del qui e dell’ora; le ombre sono la sostanza della vita animica.
La vita cercata a fondo si tramuta nella morte (Tristan und Isolde). (Per contrappasso, a confortare le mie paure, mi viene in mente quella preghiera musicata nel lied di Wolf, all’incirca: “Non darmi grandi gioie e non darmi grandi dolori: fammi vivere nella banalità”.) Invece è forza vivere errando tra le ombre, tra cose non menzionabili, vuoti fantasmi, senza un fine apparente ma col fondo più sostanzioso di arrivare al fondo delle cose.

Perché ciò che è umano è solo cronaca, l’essenza è mitica. Volgere le spalle al mito denota incompletezza. L’uomo pensante si dibatte tra la ricerca del mito, dove il mondo della vita si capovolge in quello della morte, e il suo rifiuto, che provoca angoscia demoniaca.
“Ma esiste poi una musica felice”? commentava Schubert.
La felicità, in arte, è dare dimensione al tremendo, rasserenato nella bellezza dell’invenzione e della forma.

L’Ade è profondo e in alto stanno gli dei (reminiscenza dello Schicksalslied).
Come farà l’uomo a districarsi tra la sua sostanza profonda e quella celestiale?
L’uomo dilatato dagli spazi estremi, l’uomo crocefisso.

Oscillanze, dualità. Aliquid-nihil, Ja-nein: jein.
Il viandante che nel suo peregrinare incontra paesaggi ameni e maleodoranti discariche. Il respiro che si apre e si contrae. L’alto e l’abisso.
Le dualità in uno, la sintesi della pittura.

Nudo davanti alla pittura.

Leggere le aure. Ma per contrappasso, l’immaterialità chiede fisicità: allora segni disincarnati mimano il corpo. L’eros, se allontana la morte, è l’espressione piena della vita, perno del nostro bilico.

Verticalità nel mio lavoro. Tiepolo sfondava le cupole aprendosi allo spazio.
Sulla tela, oltre la superficie. Mani protese, mani viaggio.

Lohengrin, creatura dell’oltre, così ammoniva la curiosità di Elsa: (nella traduzione dal tedesco in vieti versi ottocenteschi)
Mai devi domandarmi
Né a dimostrar tentarmi
Ond’io ne venni a te
Né il nome mio qual è.

La pittura adombra, ed esprime. Quella che più adombra, a volte è la più intensa.

C’era (c’è) una madre condannata al profondo Ade che mandava segnali alla sua figlia amata, la dea delle messi, facendo nascere sulla terra i fiori a primavera.
I fiori che nascono dal profondo.

Aforismi 1995-1996

Il vero: ciò che è scomodo, doppio, imprendibile.
un bel dipingere o un dipingere vero?

La natura oltre, quella del profondo.
Sono un pittore naturalista.

Gli esercizi di stile che hanno isolato l’arte in un vacuo limbo intellettuale.

Più che tesi da dimostrare, una visione da mostrare. E dietro, un’ossessione.

Cos’è il nuovo. Un’indagine autentica di moti profondi che la storia organizza ed evolve. Del nuovo ce ne accorgiamo dopo.
Forme nuove, mezzi nuovi? Il nuovo non è la forma. E’ dietro la forma e la determina.

Essere sofisticati o essere generosi.

Pittura, semplicemente. Per tutti coloro che non abbisognano d’altro.

Il grande melodramma. Il teatro gremito, il canto che trabocca, la gente che s’infiamma. La voglia di “cantare”.

I sentimenti di una grande maggioranza oggi frustrati dai costumi, dalle convenienze dell’intelletto. Non cantare; argomenta cinicamente.

L’intellettuale «il pesce cieco dello stagno»; l’artista «volatile veggente». Far volare l’intellettuale.

Se vuoi un tracciato, una tesi, non troverai immagini d’uso, tesi. Avrai sconcerto, nel dissapore del contrasto.
Rinuncia al noto, entra nel gioco delle cose che si fondono con altre cose, del verde che è violetto, del giorno che è la notte, nel gioco dei dissapori reconditi; avventurosamente, liberamente.

Verdi: dopo un’arte di severe, realistiche passioni civili, familiari, terminare con il fugato «Tutto nel mondo è burla». Alla fine era la favola che coinvolgeva tutto.

L’infantile desiderio di abbracciare il mondo. L’adulta solitudine, l’ironia.

Vicino alla storia fuori dalle storie.
Far arricciare il naso ai professori, ai modernisti, ai conservatori.

Titolo: Mistero. Mistero degli spazi sotterranei (dei nostri spazi sotterranei); Mistero dell’alto che tace, Mistero che richiamava vivi nell’Ade. Mistero dei passaggi dall’una all’altra riva, dei silenzi, dei sommergibili svaniti, dei loro periscopi, dei vuoti, delle sonde e delle perle nere, delle insidie dell’eros, delle pescatrici e delle mine, delle aure e dei siluri, Mistero dei cordoni ombelicali e dei viaggi, del segno che condensa e disfa, del colore dei luoghi ultimi, del nostro canto sospeso, larve del nostro domani.

«Il Canto: una certezza nel bisogno, cantando» (Novalis).
Aver sfiorato, non aver trovato. Trovare è finire, cercare è non morire. L’intelletto che non trova.
Ma lontani dagli aridi teoremi, nel tormento del non trovare, cresce la possibilità del canto, alla fine vero cercare, vero trovare. Senza le cose, i nessi causali delle immagini, sull’orlo dell’abisso.
Ho paura. Vogliamo aver paura?

Modernismo: la tranquilla situazione di chi evita i problemi, diluendoli nello scetticismo, nel gioco, nello stile.
Modernità: tensione fra gli oggetti opposti, pensiero limite, assenza di luoghi certi, etica tragicità.

L’oggetto anziché la pittura.
Oggi si sente il desiderio di far presenziare le “cose”, di imporle fisicamente.
Non si possono scantonare gli oggetti. C’è a volte una violenza implicita in ciò. C’è una paura.

– I tuoi maestri?
– Furtwängler che scavava dentro le note, l’imprevedibilità di Shubert, le antinomie di Mahler, il continuum di Ligeti ecc.
– Ma… sono musicisti…
– Sì, la musica non si vede. Come la pittura, che dice altro da sé. L’immagine che resta tale non è pittura, è aneddoto, fantoccio, teatro.
– Ma i tuoi maestri, Licini, Novelli…
– Accostamenti a volte di comodo. Personalmente ritengo di essere vicino alla pittura visionaria in genere, al Simbolismo, a Gorky o Tiepolo, a De Pisis o a Sima. Oppure, credo, li ho elusi tutti. La pittura oggi non può essere che drammatica messa in discussione di se stessa. La pittura è un fantasma. E in questa veste, rinasce.

Riafferrare la nostra vita; e la vita altrui anche; giacché lo stile, per lo scrittore come per il pittore, non è questione di tecnica, bensì di visione (Proust).

Aforismi 1989-1990

Come una pittura ultima.

Segno: continuità, stacco, indugio, rapidità, sfiorare, calcare; flusso, suspence, tenerezza, sadismo.

Luce che non c’è. Luce, somma che azzera; la luce impossibile. Morire di luce.

Ribaltare la pittura: prima dipingere poi disegnare, pensare il verde nel violetto, la semantica dell’inesistente, udire la luce, dipingere il suono.

Il fare scoperto. Senza artifici, in presa diretta, dentro le origini.

Esprimere che “non c’è” qualcosa. Qualcosa è oltre, fuori dalle dimensioni note.

Di là, dove erano confluite tutte le immagini, ne discendevano i fantasmi.

Ti addentri, e l’orizzonte si apre.

Il luogo irrappresentabile, il buco nero della pittura, luce veggente della cecità.

La traccia nel Simbolismo, nella Metafisica, nella Surrealtà, nell’Informale e nelle sue riprese, nella magia traslata del concetto: l’ignoto che ritorna e si rinnova nella storia.

Mito: nell’eco dei sogni primordiali, oggi, per ritrovarci.

Destrutturare, ristrutturare. Il disagio, la propositivi. Uno spazio vuoto per un dio che “sarà”.

~ ~ ~

Non sogni, non segni. Non poetiche frasi a coronare l’epoca della bella luna che splende nel cielo. Licini è lontano.
Non possiamo più sognare.
Possiamo solo sognare di aver sognato. Forse un giorno risogneremo.
In questo senso, “nel tempo in cui gli dei vengono meno”, viviamo echi.
Su per un’erta china, inventiamo storie bellissime, per quelli che vogliono leggere.
Sono apparizioni in spazi altri, che non sono più gli spazi traslati delle campagne e dei cicli marchigiani.
Sono gli spazi dell’altrove e del nostro profondo. Non incidiamo “merda” ma affiorano appena un “nihil” o un “why”.
Cosa apparirà? Una mano nera, forse, in un’area vuota, di tremenda attesa.

(in Sulle tracce di Licini. Artisti italiani contemporanei, a cura di C. Cerritelli, Ascoli Piceno, 2008)

Anacronisticamente vostro
La parola “passato” completamente in disuso oggi, ritorna coraggiosamente nel titolo del programma. E non a caso si sposa alla parola “pittura”.
Parlare di pittura impone sempre un confronto col passato, essendo la pittura l’unico medium legato alla continuità di una tradizione. Penso che anche per questo, per liberarsi da significativi confronti, la pittura è stata spesso messa da parte: i “nuovi” media, foto, video, installazione ecc. sono meno confrontabili. Ma di fronte a questi mezzi, spesso disinvoltamente disponibili, la pittura, proprio perché indisponibile, trae la sua forza: il problema è passare attraverso la cruna dell’ago di una disciplina, così rigorosa, scevra da compromessi, per uscirne rinnovati, attuali.
Nuovo non vuol dire nuove forme, nuove tecniche. Nuovo è riuscire a sondare dentro, nel profondo collettivo. Il nuovo non è programmabile; del nuovo ce ne accorgiamo dopo. Non è nella forma: è dietro la forma e la determina, è profondità portata sulla superficie.
“Profondo è il pozzo del passato”, il grande pedale manniano, ricollega il lontano al presente, e al futuro. Perché il passato è colmo di tesori ed essi sono il vero filtro del nostro fare, e tanto più attingiamo a un passato carico di mito, tanto più diventiamo attuali: i miti sono favole eterne inestinguibili che determinano ancora oggi l’esistente; quale garanzia per l’arte di ogni tempo!
Queste intenzioni rifiutano ogni aspetto di superficie, ogni formalismo. Oggi la pittura, se ha un pericolo, è essere sottomessa alla forma. Sopratutto la pittura astratta che rischia, dopo le tautologie del passato, allora avallate da una poetica precisata, di ricelebrare vuotamente se stessa, con vieto manierismo. Il rinnovamento deve avvenire ancora una volta dall’interno (ogni forma d’arte è in senso lato esistenziale, perché non può non rifarsi alle problematiche dell’uomo).
Lo stile “per lo scrittore come per il pittore, non è questione di tecnica ma di visione” (Proust). E “ci sono più cose tra il cielo e la terra” e ancora non abbiamo visto tutto: come può la pittura, il tramite più autentico dell’esserci, tramite di ragione ed emozione, cessare de esserci, di “vedere”?
Ho preferito accennare con parole semplici, quasi ovvie, perché è noto quanto le parole, tanto più il discorso si fa complesso, tanto più sfuggono il problema dell’arte che è cosa imprendibile e segreta ma paradossalmente lineare.
Anacronisticamente vostro, Mario Raciti

(Intervento al seminario La pittura tra passato e attualità, Mantova, 29 maggio 2004)

Pittura, “pittore”
Pittura, oggi, strana parola. “Pittore”.

C’era, ricordo da ragazzo, un tipo squinternato preso in giro da tutti. A chi gli chiedesse cosa faceva, rispondeva scattando sull’attenti: “Cercatore!” Spariva tra le campagne di una periferia ancora rada, inforcando una vecchia bicicletta e la sera tornava con ricci, caffettiere, piume, cuscinetti a sfera, ciottoli. Poi eliminava tutto. Così, tutti i giorni. Roba da matti. Morì cercando, annegato in una roggia.

La pittura e il suo oggetto. È stato rappresentato tutto.
Tranne forse quello che non si può rappresentare. Solo in pittura, luogo obbligato di metafore, luogo del “come se” delle immagini, dove l’oggetto è spogliato del proprio ingombro, dove ogni cosa dice altro da sé, forse ci si può avvicinare all’irrapresentabile.

La pittura che, scavalcando l’oggetto, elude le sue leggi, rifiuta gli schemi. Lontano dalle tautologie, dal culto della forma. Lontano dal rifugiarsi nell’ignavia dell’ovvio, del ludico, dell’effimero.

Dipingere un’altra luce. Luce che azzera sommando, luce che non c’è, luce veggente della cecità.

La pittura dell’altrove. Uno spazio vuoto per celebrare gli echi di un dio fuoruscito.

Paura. Dall’alto all’abisso e viceversa, tragicamente.

È stato trovato tutto. Ma sappiamo ancora cercare, dare un volto a quella verità di cui non possiamo tracciare i confini e di cui non possiamo fare a meno?

Dipingere la musica, che non si vede. Il canto vero cercare, vero trovare? Mediazione dell’invisibile in realtà. Pittura, drammatica messa in discussione di sé, fantasma, fine come inizio. Dipingere tutto di noi.

“Pittore”. Oggi. Fare pittura.

(in Anteprima, a cura di S. Parmiggiani, Palazzo Magnani, Reggio Emilia, 1998)