Antologia critica > Alberto Barranco di Valdivieso

Mario Raciti, I fiori del profondo, 2016

Mario Raciti. 1967-2017
Il senso dell’Oltre

Mario Raciti prosegue, da quasi sessant’anni, una ricerca artistica complessa, per questo motivo va compreso il significato autentico del suo segno pittorico e le ragioni che con lo svolgersi degli anni egli ha sviluppato attraverso una personale poetica del segno e del racconto. Questa mostra, presentando una eccezionale scelta di opere storiche e inedite, che copre un cinquantennio di ricerca pittorica, è una immagine potente del mondo di Raciti nel quale la fascinazione ai grandi interrogativi esistenziali, declinata in valori assoluti, costruisce un ritratto dell’Uomo con i suoi sogni, i dubbi, i ricordi e l’ansia di salvezza.

Pittura contro Anti-Pittura. Raciti parla di se stesso e del suo mondo utilizzando la Pittura in quanto gesto istintivo mente-corpo-strumento-segno, autenticamente umano, non mediato o interpretato dalla macchina, dalla tecnologia, da ciò che è “fuori”. Pittura come medium perfetto che si interpone senza attrito tra il corpo dell’uomo e la sua immaginazione. Egli intuisce che, per ricondurre il “fare arte” all’indagine dell’Uomo attraverso i propri significati fondanti, si debba necessariamente ritornare ai principi costitutivi di questa attività. Il porsi criticamente nei confronti dell’Anti- Pittura, figlia di esperienze importanti ma ormai obsolete, lo porta a costruire una ricerca artistica che si orienti decisamente verso una pittura che cerchi “forsennatamente di indicare una via” attraverso il racconto. Esprimere immediatamente, senza timore, le immagini dell’inconscio quali elementi fondanti del pensiero e dunque della fantasia e dell’ingegno umano diventa primario. Questa è una riflessione che Raciti sintetizza in un confronto estremo tra i valori dell’Uomo e quelli dell’Anti-Uomo, contrapposizione netta tra tutto ciò che agisce per conoscere e costruire esperienza, e tutto ciò che vi si contrappone cedendo all’asfissia del tempo, alla banalità del potere e alla ottusità della ripetizione. Nel continuare in questa direzione, anche in tempi fortemente coercitivi come gli anni Settanta, si dimostra che questa sua scelta rappresentava a quel tempo una vera e propria posizione teoretica antagonista alla cultura della disumanizzazione nell’Arte, cosa che egli considerava allora e, considera ancora oggi, fuorviante proprio in quanto negazione di questa “naturalità” del fare. La pittura oggi, per Raciti, non può che avere una dialettica distonica, come è frammentaria la percezione della realtà e dei suoi valori mutevoli, così come oggi è spezzata e eterogenea l’esperienza dell’Uomo. In questo ravvisiamo il carattere di forte contemporaneità che contraddistingue l’artista il quale non soggiace alle norme dei movimenti coevi. I suoi lavori sono l’immagine stessa del problema: la tensione dell’esprimersi che pulsa nel suo lavoro è una reazione manifesta all’evidente disgregazione di valori, operata negli ultimi anni, del mezzo espressivo artistico. L’unica strada allora per Raciti è recuperare i “cocci rimasti” dell’Arte, e da lì ricostruire una dialettica che sia veramente efficace, oggi, per raccontare l’Uomo senza fraintendimenti o divagazioni speciose.

La pittura per efflorazione. La narrazione come suggerimento. Le opere di Mario Raciti appaiono ad una prima lettura come composizioni eleganti e delicate, ingannevolmente liriche, quasi placide. Ma questa è solo la superficie di un mondo ben più drammatico e intenso. È un mondo costruito per strati sovrapposti, livelli successivi di esperienza/conoscenza che l’osservatore è chiamato a comprendere e affrontare. Sfumature e segni fluttuanti imprimono una sensazione di fragilità apparente, spesso su un fondo lattiginoso che è bianco in apparenza, quando in realtà presenta qualità cromatiche sorprendenti. Spesso questo tessuto pittorico costruito con il segno del pennello, del pastello o delle dita, si sfrangia mostrando misteriosi passaggi che si intravedono tra le fibre del pigmento, sono macchie buie, dense oppure campiture trasparenti di colore cangiante, che suggeriscono profondità successive. I colori di Raciti non sono mai definiti, non sono mai reali in quanto sono evocazioni di colore, ipotesi cromatiche immaginate, misteri che l’artista non risolve, bensì suggerisce. Starà a chi si confronta con l’opera e ne cerchi il senso vero, il compito di andare oltre la semplice carezza dello sguardo e ricostruire una rielaborazione delle proprie personali esperienze inconsce.

I cicli pittorici. Nelle opere degli anni Sessanta, i lavori di Raciti disegnano figure e percorsi immersi in un liquido colorato grigio-salvia o azzurro-polvere. Sono storie di sogni che, come rebus bizzarri giocano con i significati sbeffeggiando i significanti. Ecco il tempo degli “Spiritelli” che, sotto orizzonti curvilinei lontanissimi ma disegnati per sembrare vicini (talvolta segnati da piccoli chiodi che rendono tattile l’impalpabile), trasforma cardinali in razzi, teleferiche in fili della memoria sospesi su ipotesi di favole, circuiti in bizzarri spartiti musicali e radar in magiche antenne per comunicazioni impossibili. La narrazione diventa ancora più “altra” in anni densi, i Settanta. Si suggeriscono “Presenze-Assenze” tra conscio e inconscio, in cui vuoti silenziosi, campiture fluide, faglie che spezzano la continuità del muoversi di figure esili, ci conducono alfine alle esperienze degli anni Ottanta con la serie “Mitologia”. L’esplorazione del “mito” è per l’artista il campo di sintesi della fenomenologia umana. I “Misteri” successivi inaugurano un capitolo lungo quasi un ventennio, in cui la pittura di Raciti declina la logica di “affioramento” pittorico degli eventi: è un momento caratterizzato dalla tensione verso la sacralità e una spiritualità non confessionale ma “confessata”, personale evidenza della propria umana debolezza. Siamo negli anni Duemila e Raciti compone i “Fiori del Profondo” in cui il senso della metafora sboccia attraverso il mito di Persefone e Demetra: qui la metafora della morte e del risveglio è evidente, come il dolore della perdita e del distacco o la speranza che c’è sempre nel ritrovare. La serie si compone di opere struggenti in cui la grazia del segno floreale, sospeso e rado, dai colori profondi e mutevoli delle corolle,si contrappone in modo categorico al grande vuoto chiaro, che sarà sempre più presente nelle opere successive. Quel vuoto diventa il termine di paragone con le figure narrate, ed è quel campo di bianco cangiante, che rappresenta l’enormità non misurabile del dubbio, verso le possibilità infinite dell’inconoscibile. Nelle opere successive intitolate “Why”, questi concetti vengono ancora più sottolineati tramite un’intuizione del sacro che va sempre di più accentuandosi. Negli ultimi anni il ciclo “Una o Due Figure” esprime un dinamismo segnico sorprendente che si staglia su una tessitura “porosa” attraverso cui vibrano figure e flussi. In alcuni punti delle composizioni percepiamo correnti tese come corde di un arco e in altri esse sembrano rilasciarsi elasticamente in un segno estemporaneo e fulmineo per poi voltare e fondersi in figure, colori o coagulazioni materiche di pigmento. La musicalità e il ritmo di questi flussi è evidente, infatti Raciti è un melomane appassionato delle composizioni di Schubert, Mahler e Ligeti oltre che lettore attento di Hölderlin, Dostoevskij e Rilke. Nell’ultimo quinquennio le sue opere sottolineano profondamente il principio della stratificazione e della molteplicità dei livelli di lettura e dunque di esperienza legate alla narrazione pittorica. Le grandi campiture chiare evidenziando articolati livelli di bianchi fanno “efflorare” figure e ombre sottolineate dal passaggio della luce o dalla nostra attenzione. Le figure in movimento esprimono una carnalità più forte, quasi rabbiosa determinata senz’altro da un desiderio dell’artista- uomo di reagire alla infinita ricerca del proprio Sé, in un tempo che passa sempre più velocemente.

Il senso dell’Oltre. Le opere di Raciti sono porte che si aprono su dimensioni “altre”. Sono narrazioni eterogenee di viaggi attraverso il Sè, la propria mente e il proprio spirito. Sono percorsi dinamici, costruttivi, lontani da facili suggestioni nichiliste. Passaggi non sempre catartici, spesso tribolati, perché l’esegesi del proprio Io non è mai esaustiva né mai interamente “a fuoco”. Raciti vuole attraversare così i propri sogni e le immagini della sua memoria. Il processo è “Oltre”. Oltre come dimensione di passaggio e non come un luogo di arrivo poichè il Dubbio è immanente nell’uomo ovunque egli si trovi e questo basta a renderlo perennemente in attesa. Oltre come azione per liberarci, come viatico alla comprensione di ciò che siamo e ciò che proviamo e che, spesso senza avere la forza di comprendere, ci accompagna in un dolce smarrimento. Oltre. Non-luogo che è in sé una promessa di viaggio, non di approdo.

“…Una o due figure… per cui siamo e non siamo, appariamo e vorremmo essere. E in questo sta per me la verità dell’Uomo…” (M. Raciti all’autore, 2017)